Esplorando Ischia Safari La voce del «Cala-cala» e il cibo dell’identità

Esplorando Ischia Safari
La voce del «Cala-cala» e il cibo dell’identità

di Ciro Cenatiempo

Ischia Safari 25/26 settembre 2022

In principio c’erano i verbi: «adunare, chiamarsi per nome, darsi una voce, invitare».

Dove?

Sulle terrazze coltivate, i promontori a picco sull’azzurro modulato da onde e risacca nobile; o al riparo di calette calme.

Da San Pancrazio a San Montano, da Cartaromana a Citara, punteggiando la geografia locale. Perché?

In una parola, anzi due: per fare il «Cala-cala». La radice è greca: viene da «kaleo». Cos’era? Un rito definito da una formula iterativa che vuol dire: «mandare qualcosa giù, dall’alto verso il basso in attesa di ricevere qualcos’altro in cambio».

Dopo essersi invocati, riconosciuti. È il senso dell’insularità: è il baratto terra-mare, è l’apertura all’accoglienza. I due elementi, mare e terra, hanno la virtù mutevole dello scambio: un movimento che si compie tra le due frontiere fisiche, unite nell’immaginaria linea di demarcazione tra il liquido e il solido, la mescolanza del flusso continuo sul bagnasciuga.

È la sintesi originaria della cultura alimentare di Ischia. Ed è l’umore caldo che pulsa nel cuore di “Ischia Safari”, replica moderna dell’intreccio di suoni e saperi, di conoscenze che si specchiano tra loro.

Il «Cala-cala» favoriva le relazioni sociali, serviva per stringere patti di comparaggio, e stabilire intese... a scopo matrimonio, tra la figlia del contadino e il giovane aratore d’acqua con reti e lenze.

Una moltiplicazione di pomi e di pesci si compiva in luoghi che sono rimasti intatti, dal punto di vista naturalistico o della funzione sociale.

I pescatori davano una voce in collina agli zappatori che riempivano un cesto di vimini con frutta, vino, ortaggi, e lo... calavano giù sottocosta. Una volta svuotata, la gerla tornava su, traboccante di costardelle, lampughe, salpe.

Il cerimoniale si santificava in cantina, e l’amicizia era celebrata con la cucina del piatto totemico: la conigliata.

La festa era rinnovata quando si completava il tetto di una abitazione: la copertura a botte, a carusiello, con lo strato di lapilli compressi e battuti con pesanti bastoni spinti a forza di braccia, ritmando i colpi e i canti d’occasione.

Coniglio, vino, zeppole e aluzze fritte erano l’inno gustativo che la comunità innalzava per annunciare un nuovo nucleo familiare.

E per un giorno e una notte; e un altro giorno e un’altra notte ancora, nasceva una Casa comune addobbata di aromi, fumanti fragranze, cunti e colori saporiti.

Proprio come “Ischia Safari”.