Fico (Ficus Carica)

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Sono il Fico, un albero imponente e antico che popola frutteti e foreste, persino quelle più aride. Le mie radici sono profonde, capaci di cercare l’acqua nelle viscere della terra, infilandomi nelle crepe del suolo o persino nei muri. Posso apparire come un arbusto aggrovigliato o crescere fino a diventare un albero maestoso, alto fino a 12 metri, con una corteccia liscia di un colore grigio cenere. Durante l’inverno, resto spoglia, senza foglie, ma a fine primavera queste tornano a sbocciare, ampie e ruvide al tatto, proprio quando uomini e animali cercano riparo dalla calura sotto la mia ombra.


La mia presenza ha ispirato artisti e poeti per secoli, ma è improbabile che le mie foglie, con la loro forma frastagliata e pronunciata, siano state adatte a coprire le nudità di Adamo ed Eva. In compenso, racchiudo storie di forza e fertilità che attraversano culture di ogni epoca. Vengo coltivata da millenni, e la mia storia botanica si intreccia strettamente con il concetto di rigenerazione e sessualità.

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Non tutti lo sanno, ma i miei “frutti” non sono veri e propri frutti, ma speciali strutture chiamate siconi. All’interno di queste ampolle carnose ci sono minuscole infiorescenze. Posso essere femmina, producendo frutti succosi e commestibili, oppure maschio, generando ciò che è conosciuto come caprifichi, secchi e non edibili. Questi ultimi prendono il nome dalle capre, le uniche capaci di nutrirsi di loro.

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La mia fertilità dipende da un processo complesso, orchestrato da minuscole vespe specifiche, come le Blastophaga, che volano di albero in albero trasportando il polline dai fiori maschili ai fiori femminili. Le vespe femmine nascono all’interno dei caprifichi, si accoppiano con i maschi ancora prima di uscire, e poi volano fuori, cariche di polline. Cercano un nuovo siconio per depositare le uova, guidate dal profumo. Ma se sbagliano e si introducono in un fico femmina, non trovano un luogo adatto per deporle. A quel punto, diventano prigioniere, contribuendo involontariamente all’impollinazione ma condannandosi alla morte, venendo lentamente digerite dagli enzimi della pianta. Così il mio frutto si sviluppa, dolce e ricco di semi, pronto per essere consumato da animali che diffonderanno i miei semi.

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Alcune varietà della mia specie sono state selezionate per non richiedere impollinazione, ma quelle più antiche e pregiate, come la Smyrna o la Calymirna, continuano a contare sulle vespe per dare vita ai loro frutti dolcissimi. E non dimentichiamoci della storia: per millenni i contadini del Medio Oriente hanno appeso rami di caprifico nei loro frutteti, un gesto che potrebbe sembrare superstizione, ma in realtà è un invito alle vespe a completare il ciclo della mia fertilità, continuando a intrecciare la mia vita con quella di chi mi coltiva e mi cura.

Le piante di Fico al Negombo sono un pò dappertutto, spontanee o introdotte in varietà da Ipomea del Negombo, Un esemplare molto bello nella zona di Casa Colonica