Dicembre: Dopo mesi di lavoro, il giardino è pronto
Illustrazioni Worthington George Smith e George Shayler
È fatta, ci siamo davvero. Dopo mesi di lavoro, il giardino è pronto. Ho zappato, smosso il terreno, concimato e spruzzato calce, spolverato torba, cenere, fuliggine. Ho potato, seminato, piantato e trapiantato. Ho interrato bulbi, dissotterrato tuberi per l’inverno, annaffiato, tagliato l’erba, tolto le erbacce, coperto le piante con aghi di pino, rincalzato il terreno. Ho fatto tutto, da febbraio a dicembre. E ora che il giardino è coperto di neve, mi rendo conto di aver dimenticato una cosa: guardarlo. Semplicemente non ho avuto tempo.
Ogni volta che cercavo di godermi la fioritura di una pianta, dovevo fermarmi. Vedevo la genziana in fiore? Beh, mi toccava strappare le erbacce. Stavo per ammirare i delphinium? Dovevo mettere i sostegni. E quando gli aster hanno iniziato a fiorire, correvo con l’annaffiatoio. Con le phlox fiorite, mi chinavo a tirare via la gramigna. Le rose? Passavo più tempo a tagliare i rami selvatici o a combattere la peronospora che a godermele. Insomma, non c’era mai tempo per fermarmi e guardare. Come puoi fermarti a contemplare il giardino quando c’è sempre qualcosa da fare?
Ma adesso, grazie al cielo, è finito tutto. Certo, ci sarebbero ancora un paio di cose da sistemare: quel terreno là dietro è pesante come il piombo, e quella centaurea la volevo proprio trapiantare. Ma chi se ne importa? La neve è già caduta. E adesso? Non sarebbe il momento di guardare per davvero il mio giardino? Quella macchia scura sotto la neve, quella è la viscaria scarlatta. Quello stelo secco? È l’aquilegia azzurra. Quelle foglie bruciate lì? Astilbe. E quel piccolo cespuglio? L’aster ericoides. Sotto quel mucchio di neve, poi, c’è il dianthus. Lo riconosco subito. E lì, quella cosa che spunta? Sarà forse l’achillea rossa.
Nemmeno in inverno riesco a godermi il giardino come si deve. Meglio tornare in casa, accendere il riscaldamento e lasciare il giardino dormire tranquillo sotto il suo piumino di neve. Forse è il momento di dedicarsi ad altro. C’è quel mucchio di libri che non ho mai avuto il tempo di leggere. E poi, ci sono progetti e impegni da portare avanti. Ma… aspetta un attimo. Ho coperto bene tutto con gli aghi di pino? Ho messo abbastanza pacciamatura sul tritoma? Non è che ho dimenticato la plumbago? E la calmia? Dovrei proteggerla meglio. E se gela l’azalea? E se i bulbi di ranuncolo non germogliano?
Va bene, meglio dare un’occhiata ai cataloghi. E così, dicembre diventa il mese dei cataloghi di giardinaggio. Mi ci perdo letteralmente. Ogni anno, in questo periodo, mi ritrovo circondato da montagne di listini e prospetti, e finisco per scoprire cose che mi fanno sentire impreparato:
1. Le piante più preziose, le più belle, sono sempre quelle che non ho ancora piantato.
2. Quelle che ho già? O sono troppo delicate o “gelano facilmente”. O peggio, le ho piantate nel posto sbagliato: c’è troppo sole, troppa ombra, troppo umido, troppo secco.
3. E poi ci sono quelle 370 specie (o forse di più) che “non dovrebbero mai mancare in nessun giardino”, nuove varietà che promettono di essere superiori a tutto ciò che ho piantato finora.
E così, inizio a preoccuparmi. Temo che la primavera non mi regalerà nemmeno una delle mie piante. Magari moriranno tutte per il gelo, o perché non avranno abbastanza sole o acqua. E mi metto a pensare a come riempire i buchi che queste perdite potrebbero lasciare. E poi c’è l’altra questione: anche se tutto sopravvive, non ho nemmeno una di quelle “novità imperdibili” di cui parlano i cataloghi. Come faccio a sopportare questa mancanza?
A quel punto, con il cuore in tumulto, mi tuffo di nuovo nei cataloghi e sottolineo furiosamente ogni pianta che “non può mancare” nel mio giardino. Alla prima occhiata, sono già a 490 nuove piante da ordinare. Poi mi rendo conto che è esagerato, e comincio a fare tagli. Con il cuore in pezzi, riduco la lista. E la riduco ancora. Alla fine, restano 120 perenni, “le più belle, le più indispensabili”. Le ordino subito. “Speditemele a marzo!” scrivo impaziente. Ah, magari fosse già marzo…
Ma il destino è crudele. A marzo, mi accorgo che ho sì e no due o tre spazi liberi nel giardino, e sono pure in ombra, dietro la siepe, nascosti dai cespugli di cotogni giapponesi.
E così, il giardiniere si annoia. Aspetta marzo come un bambino aspetta il Natale. E quando si rende conto che manca troppo, comincia a contare i giorni che restano. Forse, pensa, si può cominciare anche a febbraio. Anzi, magari qualche anno si è iniziato persino prima…
Ma non c’è niente da fare. Bisogna aspettare. E nell’attesa, provo a distrarmi. Mi sdraio sul divano o mi metto in poltrona, tentando di sincronizzarmi con il sonno della natura. Dopo mezz’ora, però, mi alzo di scatto. Un’idea! Le piante d’appartamento! Posso riempire la casa di vasi, trasformarla in una giungla tropicale. Mi immagino già circondato da palme, felci, aspidistre, dracena e begonie. Tra loro fioriranno ciclamini, primule e giacinti. Piante appese alle finestre, vasi sulle scale, una foresta dentro casa.
Entusiasta, corro al negozio di piante e compro una bracciata di tesori verdi. Ma quando torno a casa e inizio a sistemarle… la visione svanisce. Invece di una giungla equatoriale, sembra una piccola collezione di vasetti di terracotta. Le finestre devono restare libere per far circolare l’aria, le scale sono troppo ingombranti, e l’ingresso non può diventare una foresta tropicale perché le donne di casa continuano a insistere che le finestre devono restare aperte.
Così, sconfitto, porto tutto in cantina. “Almeno non geleranno,” mi dico per consolarmi. E quando arriva la primavera e riprendo a vangare fuori, mi dimentico completamente delle piante d’appartamento. Ma questa esperienza non mi ferma. Il prossimo dicembre, ci riproverò. Di nuovo vasi, di nuovo progetti. E così la ruota della natura continua a girare, con me sempre dietro a rincorrerla.