Il giardino delle acque VilleGiardini 344 di Gilberto Oneto
Ischia è un luogo straordinario. Su di essa si sono concentrati gli interessi buoni della natura e di generazioni di uomini, ma anche l'accanimento di interessi meno nobili che hanno devastato parti dell' opera meravigliosa del tempo e della fatica umana. Oggi l'isola ospita grandi schizzi di cemento banalizzante ma anche moltissimi luoghi che hanno conservato intatto il loro incanto primordiale e magico. Per fortuna Ischia sta conoscendo anche numerosi tentativi generosi e felici di salvaguardare o di ripristinare la sua bellezza qualche volta violata o trascurata. Uno degli esempi più conosciuti e riusciti di restauro del paesaggio è costituito dal paziente lavoro di recupero che il noto paesaggista Ermanno Casasco sta conducendo con pazienza, perizia e entusiasmo da più di dieci anni al parco idrotermale del Negombo. Si tratta della profonda e affascinante baia di San Montano, racchiusa tra il monte Vico e il promontorio di Zaro.
Di questo scampolo di paradiso si innamorò il duca Luigi Silvestro Camerini, grande umanista e viaggiatore curioso, che cominciò a costruirvi nel 1947 un giardino botanico ispirato dalle cadenze esotiche del sito che, proprio per questo, battezzò Negombo, con il nome di una baia di Ceylon. Sulle pendici che abbracciano la baia si trova anche un numero impressionante di sorgenti e di polle termali a diverse temperature che ne rendono ancora più misterioso il carattere. Dopo un periodo di relativo abbandono, Adria Scaglia Camerini decise all'inizio degli anni Settanta di metterci mano e di aprire il giardino al pubblico, dotandolo di strutture ricettive e ricreative. Alla originaria piscina olimpionica, attrezzata con un piccolo bar, si sono da allora aggiunte altre didici piscine termali, un albergo, un centro estetico e terapeutico, e una intrigante grotta- sauna. Da allora il Negombo è diventato una attrazione molto popolare ma questa nuova funzione non poteva non avere effetti sul delicatissimo ecosistema locale e, soprattutto, sulla qualità delle immagini ambientali improvvisamente investite di ruoli diversi da quelli originari. Del riordino e del riequilibrio dello speciale complesso è stato così incaricato il paesaggista Ermanno Casasco. Non poteva essere una scelta più felice: il bagaglio del professionista milanese è ricco di sistemazioni di spazi botanico-ricreativi analoghi ( alcuni dei quali sono anche stati descritti dalla nostra rivista), la sua speciale sensibilità culturale lo porta verso sistemazioni raffinate e complesse che risolve con il misurato dosaggio di abilità tecnica, di ispirazione artistica e di notevoli capacità botaniche.
La sua competenza in materia di flora mediterranea e di materiale vegetale esotico lo ha sorretto nel creare un giardino nel quale queste due componenti trovano un equilibrio in grado di generare immagini di grande coerenza culturale ma anche di grande attrazione. Il paesaggista ha più volte ribadito, in interviste e articoli, la sua idea che l'inserimento di nuove piante faccia parte della storia del giardino, che ne sia anzi uno dei motori culturali più vitali. E lo sostiene in aperta polemica con gli epigoni di un ambientalismo un po' datato e provinciale che si basa sulla rigidità "autoctonìa" delle scelte vegetali e che rifiuta con ciò di accettare la profonda vitalità della paesaggistica mostrando - di fatto- di non conoscerne la storia. Con il suo lavoro, Casasco afferma invece con forza il ruolo artistico del paesaggista che plasma e "scolpisce" il giardino inserendosi nei ritmi naturali ma apportandovi anche la sua creatività.
Anche per questo, il professionista è stato protagonista di una polemica dai toni sempre garbati contro la "burocratizzazione" della progettazione dei giardini, contro la tendenza cioè che molte pubbliche amministrazioni mostrano nel considerare la costruzione di un giardino proprio come una costruzione "qualsiasi", con tutto il suo corollario di disegni, relazioni e timbri. Contro chi ritiene che uno scavo per mettere a dimora un albero debba essere considerato un movimento di terra soggetto al rilascio di una apposita concessione (è successo anche questo...), Casasco rivendica la libertà del paesaggista - artista assimilandola a quella di un pittore che non può redigere un progetto del quadro che sta per dipingere.
E' una polemica che porterebbe a considerazioni poco edificanti nei confronti della eccessiva disinvoltura di certi progettisti " ispirati" e pasticcioni ma che trova una sua sicura legittimità nel caso di professionisti dotati di solidi riferimenti culturali e di autentiche capacità artistiche. E soprattutto nel confronto con tematiche complesse come quella del Negombo, che non può essere certo trattato con la leggerezza e con la rigidità con cui si affronta la progettazione di un posteggio o di un viale alberato. L'abilità e la misura di Casasco hanno dato grande vitalità a un pezzo di paesaggio che ha tratto il massimo vantaggio dal rispetto dei ritmi naturali, dalle dotte citazioni recuperate dalla storia dei giardini e dalle più riuscite sperimentazioni delle più vitali scuole di paesaggistica. Vi si legge la meditata conoscenza dell' opera di Thomas Church, Roberto Burle Marx, Isabelle Greene e Cesar Manrique. Che non avrebbero fatto di meglio.