Il giardino e il luogo

Il giardino e il luogo

di Ermanno Casasco

estratto da "I Giardini di Ermanno Casasco antologia delle opere 1979-2005", Arti Grafiche Meroni(2005)

Ho cominciato a lavorare al Negombo nel 1988. Ma la mia progettazione di quel parco e i modi in cui esso ho operato non sono comprensibili se non si tiene conto di un episodio curioso che voglio ricordare. Il mio arrivo ad Ischia nell' 88 ha un precedente storico, strano e casuale, avvenuto vent'anni prima. Ero militare a Caserta e , insieme a tre amici, fuggii dalla città per andare ad Ischia. E fu allora che la vidi per la prima volta. L'immagine che conservo di quella visita è una baia incantata e tutta terrazzamenti, di cui non mi era noto il nome. Dopo di allora non mi era più accaduto di tornare ad Ischia. Quando dunque, vi giunsi, per la seconda volta, nell' 88, avevo dimenticato quel lontano episodio. Al Negombo incontrai per la prima volta Marco Castagna: ci incontrammo al Negombo, di sera, al ristorante; e per tutto il tempo della cena e del colloquio fui disturbato da un sottile e inesplicabile stato di "disagio".

Certo, c' erano allora al Negombo elementi divergenti dal mio gusto estetico, specialmente i muretti spagnoleggianti del ristorante e delle aiuole del giardino; ma il mio disagio, ovviamente, come compresi più tardi, veniva dal contrasto tra la nuova realtà della baia e l'immagine di vent'anni prima, fissata nel ricordo, che inconsciamente avevo conservato e che, trovandomi nel luogo, mi riappariva oscuramente.

Ci vollero mesi di lavoro nei quali mi immersi nel paesaggio della baia di San Montano, prima che la memoria mi ritornasse all' improvviso come una folgorazione: ricordai i terrazzamenti, la grande scalinata di pietra che il rinselvatichimento della zona aveva coperto. Iniziammo allora a pulire la collina e a ristrutturarla. Con i terrazzamenti ritrovai la mia immagine del posto e insieme quella più antica e iniziale che il duca Camerini ebbe del giardino.

Cerco e ritrovo, tornando a casa, una vecchia fotografia di vent'anni prima. Ci sono io con i miei amici nella baia di San Montano, e da quel momento, progetto il parco con una mia memoria, con certe mie radici, mi riconosco nel luogo. Tutto da quel momento è diventato un gioco tra me, Marco Castagna e il Duca Paolo Fulceri Camerini. In altre parole, quando ciò è avvenuto, non c'è stato più bisogno di fare ogni volta un progetto degli interventi da operare, come era ovviamente avvenuto al primo incontro e nella prima fase del lavoro. L'intesa e l'armonia che si è creata è stata tale che si operava sul posto direttamente. Ed è raro che questo avvenga. Ho anche potuto mettere pienamente in atto una mia profonda convinzione relativa alla necessità di un orientamento comune con chi ha la gestione del giardino.

Anzitutto, io qui al Negombo ho sviluppato l'originario progetto del duca, che per primo ha introdotto piante provenienti dall'Asia come dal Sud Africa. Il giardino è anche ricerca: l'inserimento di nuove piante fa parte di tutta la storia del giardino. Proprio per questo, al Negombo, ho introdotto molte piante mediterranee che non erano presenti o non erano sopravvissute, piante che io amo molto come il mirto o l'olivo. E in coerenza col progetto originario del Negombo, ho portato e introdotto semi da tutte le parti del mondo, dall' Australia, dagli USA, dal Brasile. Si tratta sempre però di piante che coabitano e convivono in armonia con quelle di un determinato luogo, perché le piante crescono bene nel clima a loro adatto e in questa mia esperienza ho scoperto che molte piante esotiche vivono benissimo senza essere infestanti o distruttive rispetto alla vegetazione mediterranea che comunque anche qui al Negombo, come in tutti i miei giardini, resta prevalente.

E poi bisogna tener conto che abbiamo sempre a che fare con specifici microclimi. Inserendo piante di paesi diversi non si modifica l'impatto ambientale. E' un errore credere che solo le piante autoctone siano in armonia con un determinato paesaggio. In un giardino le piante possono essere di origine diversa, ciò che conta è l'armonia delle foglie e del portamento. Se nell'appennino emiliano introduco un cedro del Libano, o un'altra conifera, resta sempre nera, non è una questione di autoctonia, ma di colore. O, per fare un altro esempio addirittura paradossale, nel giardino da me costruito nella Lomellina ho introdotto molte piante giapponesi, a cominciare dal bambù, perché vi crescono in modo meraviglioso, dato che la zona è coltivata riso, mentre le cosiddette piante autoctone oggi marciscono. L'uomo non ha cambiato solo il paesaggio, ma con esso anche il clima. E noi operiamo nel presente e di esso dobbiamo tener conto; non ha senso, e addirittura a volte non è possibile ricostruire il paesaggio del passato.

Non si  può ignorare l'evoluzione del giardino, non si può pretendere che resti fermo. Si può rispettare il disegno e la memoria del posto, ma ciò che è perduto è veramente perduto. Ho sempre pensato il giardino come cultura materiale tutt' insieme ai suoi valori estetici e formali e a quelli gioiosi e sensuali. I miei giardini sono sempre densi di memoria, hanno sempre radici profonde, ma non per questo sono meno moderni. Li penso sempre per il futuro. Per questo qui al Negombo ho unito la memoria antica al moderno parco idrotermale.

E' la mia stessa memoria che mi porta al passato. Il giardino nasce da questo intreccio complesso di istanze e non a tavolino o in modo astratto o in modo naturalistico. E penso che esso risponda a un' esigenza umana universale, al di là di tutte le lingue e culture, o meglio dentro ad esse.

Fin dall' inizio la mia preoccupazione maggiore è stata quella di costituire una continuità visiva all' interno del giardino. All' ingresso ho trovato, con valore dominante, un' aiola di yucche compatta e uniforme, che mi ha spinto per contrastarla a introdurre olivi, alberi da frutto, agrumi e, come elemento di disturbo, il ginkgo biloba. Questo perché alla fine ciò che diventerà dominante sarà l'olivo che è un simbolo così importante nella vegetazione mediterranea. Ho poi aperto la zona dello spiazzo in cui si trova la direzione e da cui parte la gradinata che porta alle balze. Qui c'è il maestoso ficus. Per creare collegamenti con l'ingresso ho introdotto limoni e cycas.

Sulle balze ho inserito una pianta australiana, il metrosideros, perché, nel portamento, nei colori, nelle foglie, assomiglia al leccio e all'olivo e quindi si inserisce perfettamente nella vegetazione mediterranea: è una pianta generosa, che non teme la salsedine e non ha bisogno di acqua, ed essendo frangivento, protegge la vegetazione retrostante. E poi il cipresso per segnare il paesaggio.

Su una sponda delle balze ho inserito la mia ricerca botanica: cytisus, bouganvillea, gelsomino rincospermum e cestrum nocturnum, per il loro profumo. In ogni caso ho fatto in modo che la presenza di piante esotiche non sia dominante  rispetto agli arbusti locali.

Con ciò ho certo voluto rendere interessante il percorso delle balze. Ma l'inserimento di nuove piante è anche un mio bisogno e una ricerca di conoscenza che appartiene al giardino fin dalle sue origini.

E poi la natura è molto più creativa di quanto di solito si pensi, come mi è capitato di osservare nella foresta pluviale australiana. Per questo ho deciso, per la presenza dei fiori, di gettare i semi raccolti in ogni parte dei paesi da me visitati con affinità climatiche, e di lasciar fare alla natura, al vento. Ne è risultata la sorprendente fioritura delle balze. Lungo le balze ho inserito richiami, la presenza ripetuta di alberi e arbusti, che non vengono mai concentrati, ma è come se fossero rotolati giù dall' alto verso il basso o viceversa. E così sono riuscito a salvare le balze dal diventare un "giardino".

Per quanto riguarda la scalinata, l' ho recuperata e ripulita, ma lasciando la sua durezza da percepire e da percorrere. Lungo la grande scalinata, dominano gli olivi, i carrubi e i lecci...

Dovunque, anche in contrappeso alle palme presenti ho lasciato, pulendoli naturalmente, e anche ho rafforzato, arbusti e alberi mediterranei, il quercus ilex, l'alloro, il pino d'Aleppo, l'ulivo, il carrubo. Il risultato finale di questo lavoro, se ci pensi, sarà la mediterraneità di questo giardino pur nella sua ricchezza varia di forme, di colori, di profumi.