Il mio primo incontro con il Negombo
Introduzione al libro "Il Giardino del Negombo" edito da Grandi Giardini Italiani
Di Anna Maria Botticelli
Da qualche tempo, trascorrere una settimana di vacanza al Negombo, all’inizio dell’estate, è diventato un piacere irrinunciabile. E pensare, che, prima di allora, mio marito Ernesto ed io non eravamo mai stati all’Isola d’Ischia.
Nel prendere la decisone su quale sarebbe stata la nostra nuova meta di quell’anno, dovevamo, come al solito, tener conto delle abitudine vacanziere ben radicate in ciascuno di noi fin dall’infanzia: lui, metropolitano, milanese doc, d’estate non può fare a meno di sentire il profumo del mare; io, nata e cresciuta sugli scogli di Genova, non riesco a immaginare una vacanza lontano dal verde. Il Negombo, di cui avevamo letto, ci è sembrato subito il luogo giusto per entrambi: c’erano il mare e un giardino. Nessuno dei due, al momento della scelta, prestò una grande attenzione al fatto che si trattasse di un parco idrotermale: e chi mai aveva “fatto le terme” in famiglia? Come dire: «Godiamo di ottima salute, non abbiamo mica bisogno di curarci.» Beata ignoranza.
Mai più avremmo pensato di ritrovarci in quello che, a ragione, viene chiamato “un luogo edenico”, un angolo di paradiso terrestre incastonato sulla costa settentrionale dell’Isola d’Ischia, nella baia di San Montano di Lacco Ameno, dove la natura avvolge e protegge, l’acqua diverte, incuriosisce e stimola i sensi, e tutto quel che si vede o si fa, è bello, sa di buono e fa star bene.
E’ così che è iniziata la “nostra storia con il Negombo”. Abbiamo incominciato a conoscerlo gradualmente, anno dopo anno, come qualunque altro visitatore, scoprendo - guidati dall’istinto - gli scorci più scenografici e quelli più rilassanti, passeggiando nel verde o immergendoci nelle tante piscine termali per sperimentarle tutte, tuffandoci nel mare per poi sdraiarci al sole. Dapprima insieme e poi ognuno per conto proprio, alla ricerca di un particolare frammento di natura capace di soddisfare la nostra voglia di scoprire, per poi, dopo il vagabondare solitario, ritrovarci nella nostra nicchia, bordo piscina, con “l’albero di corallo” alle spalle, per raccontarci le scoperte di quel giorno.
Mi piace alzarmi presto al mattino ed entrare nel parco da un accesso privilegiato, quello riservato agli ospiti dell’Hotel della Baia [31], a due passi dal parco, dove soggiorniamo. Il palmeto mi accoglie con un grande senso di calma. Non vedo una cosa fuori posto, non sento un rumore fuori luogo: solo il fruscio della scopa di saggina per togliere le foglie cadute a terra nella notte e il canto di centinaia di uccellini che fanno il nido tra le fronde delle palme volutamente lasciate dopo l’appassimento, perché così succede in natura. Incomincio a camminare, adagio, senza fretta, sulle balze; riesco anche a perdermi, tanti sono gli stimoli che mi allontanano dall’itinerario che mi ero prefissata. Vedo “accendersi” come per magia i doccioni, le cascate e i getti d’acqua; mi guardo intorno per scoprire un nuovo fiore o per avvicinarmi a una foglia e sentirne il profumo; accarezzo le pietre di un muretto fatto a mano e penso alle mani di chi le ha sovrapposte. E’ qui che ho imparato a non usare la macchina fotografica e il teleobiettivo per lasciare che gli occhi ritrovassero il piacere di mettere a fuoco lontano e vicino: un ottimo esercizio per la vista. E’ qui, non senza fatica, che ho rinunciato all’esigenza mentale di dare un nome a ogni pianta, alcune mai viste altrove: so che ci sono quelle capaci di resistere al sole e alla siccità e quelle che amano l’ombra; quelle che sanno convivere con il vento e le piante pioniere del bagnasciuga, tutte specie straordinarie provenienti da ogni parte del mondo che coabitano e convivono in armonia con le specie tipiche della macchia mediterranea. Dopo le otto e trenta, all’apertura della biglietteria, il parco si anima con l’arrivo dei visitatori, tanti, tantissimi, che, come per incanto, si diluiscono nella parte bassa del parco, sulla spiaggia e lungo le balze sulla montagna. Quanti bimbi, quante famiglie, quanti gruppi di amici, tutti festosi e con lo sguardo felice, nessuno con l’atteggiamento che tanto disturbo crea in altri luoghi! E’ qui che ho imparato a scambiare un sorriso di complicità con gente sconosciuta: un atteggiamento positivo che mi mette di buon umore.
Capire come la leggerezza dell’atmosfera che qui si respira non possa identificarsi esclusivamente con i protagonisti, con il proprietario in primis, il duca Paolo Fulceri Camerini, perché lui stesso, con grande razionalità, si considera il custode pro tempore di questo patrimonio. Il Negombo è il risultato di un lavoro corale di tante persone, di sogni realizzati e di capacità imprenditoriali, di scienza progettuale e di gestione idraulica, di scelte botaniche e creative.
Dietro la sua storia c’è la storia della famiglia dei duchi Camerini di antica origine veneta con la nascita del primo nucleo del giardino botanico, nel lontano 1946; ci sono i ricordi e gli aneddoti del duca Paolo Fuceri Camerini, ci sono i racconti di Marco Castagna, ischitano, curatore del parco dalla metà degli anni Settanta, e le descrizioni progettuali di Ermanno Casasco, paesaggista di fama internazionale che qui opera dalla fine degli anni Ottanta.