La Progettazione del giardino acquatico moderno: l'esperienza del giardino termale Negombo
di Ermanno Casasco
estratto da "L'acqua nel paesaggio costruito: mito, storia, tecnica"
Atti del convegno alle Terme di Comano settembre 2000
Ognuno di noi ha un'immagine sua "personale" del giardino legato alla propria infanzia, a quello che potremmo chiamare il primo incontro con la Terra o meglio con un determinato paesaggio. Ha dunque una visione incantata. E' questa una mia profonda convinzione che mi viene dal trentennale lavoro come paesaggista, (termine che ho adottato non essendo architetto): ogni committente ha la sua visione incantata, un Eden in cui tornare attraverso il giardino.
Ricordo anche che a San Francisco, città notoriamente multietnica, durante i miei ormai lontani studi, l'insegnante mi fece notare come osservando i giardini della città fosse possibile risalire alle origini del suo proprietario. Certo per chi conosce la storia e le forme del giardino. Io stesso del resto sento profondamente la mia appartenenza all'Appennino emiliano: i miei paesaggi e i miei giardini inseguono e ridisegnano in mille modi quel particolare disporsi e susseguirsi di monti e di valli e il sinuoso fluire del Taro. Eppure ho a lungo viaggiato e incontrato i mille paesaggi e giardini della terra e ne ho sentito profondamente il fascino e lo spessore culturale. E tuttavia posso dire che, anche se essi sono importanti nella mia progettazione e ricerca, è dall'Appennino emiliano che mi viene il modo particolare di trattare l'acqua, che non penso mai in forma di fontana, ma come stagno, lago, tracciato di canali, cascata, un'acqua che si dispone in un avvallamento, un'acqua che scende e mai sale come invece avviene con le fontane, con gli zampilli e schizzi e getti, che il vento fa sempre fuoriuscire e che a me paiono puri effetti scenografici.
E sempre dall'Appennino mi viene l'istanza a modellare il terreno, a creare armonie e raccordi. Il giardino per me è sempre una radura nel bosco. In esso le piante vivono libere e il disegno si apparenta con i tracciati contadini, che un tempo, ricordo, tenevano pulito il sottobosco dei castagneti quasi fosse un giardino all'inglese. E visto che siamo venuti a discorrere di prati, voglio ancora dire che anche il prato deve segnare il trascorrere delle stagioni e non deve essere sempre verde come di solito vuole il committente. Il giardino da me progettato nel Lazio con le sue zone più esterne di prati gialli richiama i campi di grano, e quello di Lomellina si riconnette al giallo estivo delle risaie. Non solo gli alberi, ma anche il prato vive e segna le stagioni. A primavera i prati dei miei giardini hanno i loro fiori, come le margherite e le viole, e d'estate nelle zone meno vicine alla casa diventano gialli, così io li voglio e li penso.
E con ciò voglio anche dire che proprio perché l'acqua mi affascina ed è un elemento essenziale della mia progettazione, i miei giardini sono pensati in modo che l'acqua non venga mai sprecata e che possano anche vivere nei periodi in cui scarseggia o addirittura manca. Le piante esotiche che inserisco nei miei giardini mediterranei, anche quelle che vengono dall' Australia, come ho fatto al Negombo a Ischia, sono piante che vivono in zone aride, come ad esempio: Melaleuca, Metrosyderos, Callistemon, si apparentano perfettamente al mirto, al corbezzolo, al lentisco, all'ulivo. I miei sonni non sono mai turbati da istanze di autoctonia, che è sempre inventata, ma il mio operare si è sempre ispirato alla millenaria sapienza contadina, alla botanica e alla storicità del paesaggio.
E ci tengo a dire che fin dagli anni Settanta, quando ho iniziato a lavorare in Sicilia per il comune di Gibellina, ho cominciato a recuperare l'ulivo, che veniva estirpato per far posto ai vigneti, e l'ho usato come pianta da giardino perché è una pianta mediterranea che non ha bisogno di acqua. Seguendo l'esempio dei Romani che lo avevano immesso in Lombardia, nel Veneto, nelle valli dell' Appennino, ho portato l'ulivo al nord, facendolo conoscere al Miflor di quegli anni, e l'ho inserito in tutti i miei giardini: l'ulivo è sempre stato per me il simbolo del giardino mediterraneo. E non era facile allora convincere committenti, colleghi e critici "integralisti e autoctoni" che fosse una meravigliosa e giusta presenza in un giardino, certamente non monco e storpiato come viene commercializzato oggi. Infatti solo in seguito è diventato uno straordinario business e l'ulivo è emigrato in tutta Europa in modo trionfale. E come ho fatto per l'ulivo ho inserito altre piante, piante dell'orto come il melograno e della macchia mediterranea come la Chamaerops humilis.
L'immaginario dell'acqua è stato la mia guida nella costruzione del giardino e nella scelta delle piante. E progettare il giardino termale del Negombo ha costituito una vera gioia: mi ha dato la possibilità di giocare con l'acqua in più modi, senza doverla sprecare perché qui il suo sgorgare è in funzione della salute dell'uomo.
Il Negombo è il trionfo dell'acqua: le calde e feconde sorgenti sono la sua ragion d'essere. Il loro sgorgare mi ha dato un'emozione simile a quella provata quando ho visto la prima volta le sorgenti termali di Pamukkale in Turchia, che sono forse tra le prime terme romane. Nel paesaggio brullo le cascate e le azzurre acque risplendevano nell'unione di natura e arte che la interpreta. Rivedendole l'anno scorso, ho dovuto constatare che l'insensato sfruttamento turistico del luogo ha distrutto la benefica fonte, le cui acque sono state deviate, le cascate sono diventate nere e la ricostruzione attuale è una morta simulazione.
Ritornando al Negombo, ho avuto la fortuna di trovare le tracce dei terrazzamenti contadini, dei segni che avevano segnato in linee rette e piane il terreno del monte Vico e sulle sue orme ho costruito il giardino e incanalato e fatto sgorgare le sorgenti. Non ho costruito piscine, la grande piscina d'acqua marina del Negombo non è opera mia. I miei interventi sono "nascosti": in Buco Nero" le acque sgorgano dalla roccia, sono dentro una grotta. " Il templare" è come una rovina romana che si scopre quando si arriva (naturalmente il materiale impiegato è dovuto a motivi igienici e tecnici). L'acqua sgorga sempre dall'alto in cascate o si raccoglie in pozze. Ed inoltre la sua presenza deve sempre accogliere e non deve mai essere pericolosa o ispirare paura, nell'acqua ci si deve poter immergere e uscire con facilità e gradualmente, come avviene con il mare.
L'acqua non è presente solo dove la si vede, ma il suo uso è sempre determinante per il giardino e il paesaggio. L'acqua modifica il paesaggio: se osserviamo dall'alto i paesaggi dei paesi sviluppati, vediamo che hanno assunto una forma circolare.
Non sono più quadrati o rettangolari come li strutturavano gli aratri e l'irrigazione a canali, ma hanno assunto la forma circolare determinata dall'irrigazione automatica.
Val la pena allora di spendere una parola contro gli stereotipi del giardino all'inglese che appare nelle fotografie con lucenti prati sempre verdi. Ma i prati di Hyde Park sono tutt'altro che verdi in estate, sono ovviamente gialli. I suoi prati non sono affatto irrigati. E' con le prime piogge autunnali che il prato ritorna a vivere bello e uniforme, splendidamente verde.
Il giardino all'inglese richiede grandi spazi; così è nato in tempi in cui ancora pascolavano gli animali e si andava a caccia. In spazi piccoli, come sono quelli che il paesaggio metropolitano per lo più offre, diventano morte e irrigidite simulazioni. Non solo per le mie origini culturali, ma anche per questo non trovo particolarmente affascinanti i giardini all' inglese e trovo invece molto più stimolanti tutte le tradizioni e gli stili che da sempre costituiscono il giardino nel piccolo, non fingono di imitare la natura, ma perseguono il sogno del giardino dell'Eden. E mi riferisco con ciò al giardino all'italiana, a quello arabo e romano e persiano.
Il mio sogno è ora quello di progettare un' oasi nel deserto, in cui l'Eden è costruito dall'acqua.