1991-L'Isola d'Ischia seconda parte

prof.Massimo Mancioli

Seconda parte edizione del 1991

L'isola d'Ischia: cenni storici, miti, realtà, dall'antico Mondo Mediterraneo ai nostri giorni

Nel libro dedicato da D. Ridgway, alle ricerche archeologiche compiute, con G Büchner, a Pithekoussai, è sottolineato, già nel titolo stesso dell'opera (L' Alba della Magna Grecia), il carattere di priorità della Colonia greca fondata ad Ischia dagli Eubei nella loro spinta verso Occidente:Pithekoussai, per prima, si é trovata a gestire il ruolo di punto di convergenza e d'incontro nell'evolversi della Civiltà Occidentale verso quelle stesse forme di cultura e di civiltà che noi oggi viviamo. E' indubbio che nell'VIII sec. a. C. i Greci dell'Eubea portarono in Occidente, agli Etruschi, facendo perno su Pithekoussai, gli elementi fondamentali della nuova civiltà occidentale: la scrittura e il concetto e la pratica della Polis, cioé della città-stato, razionalmente organizzata all'interno, con un governo ed un centro difensivo e di potere installato nell'Acropoli, una Necropoli, una zona industriale ed una zona residenziale. La Polis col suo governo elitario, si occupava attivamente del mondo esterno organizzando una continua attività d'espansione e di scambi commerciali in tutto il Mediterraneo. Alcuni dei reperti trovati testimoniano di questa intensa rete commerciale intessuta dagli Eubei.

Senza dubbio, il "documento letterario" greco-calcidese più importante reperito a Pithekoussai è la già ricordata "Coppa di Nestore" (Fig. 4). La coppa (skyphos) " è di un interesse veramente eccezionale in quanto rappresenta una delle più rare iscrizioni complete che ci siano pervenute dopo i poemi dell'iliade e dell'Odissea".

Ricomposta, lettera per lettera, con abile e paziente lavoro, dallo stesso scopritore, dai frantumi residui della coppa (ritualmente infranta nel corso del convivio funebre a cui era destinata) l'iscrizione appare incisa con uno stile di bronzo da destra a sinistra (in riga sinistrograda), cioè nella più arcaica forma della scrittura greca. La coppa è databile (G. Büchner) al 720 a.C…. Ancor più sorprendente, alla mentalità dei nostri tempi, il testo dell'iscrizione che J. Boardman così legge, tralasciando la metrica in esametri dell'originale: "Nestore aveva una coppa in cui valeva la pena bere, ma chiunque beve nella mia sarà immediatamente preso dal desiderio della bionda Afrodite". E', per gli esperti, chiaro il riferimento all'XI Canto dell'Odissea, ove si parla di Nestore e della splendida coppa in cui egli beve ciò che gli aveva versato la fedele Ecamede. E' certamente, come scrive P. Monti, "una poesia conviviale che erompe da un cuore ebbro di amore gagliardo. E' una aperta sfida di un pithecusano che, stringendo la sua fragile coppa di argilla colma di vino, la lancia contro quella regale del saggio Nestore. E' un grido trionfante dell'amore, un canto sensuale alla gioia di vivere. Dal fondo cupo dell'inebriante calice si leva, inoltre, un vivo ricordo della storia troiana: quelle saghe omeriche narrate dai primi coloni greci in Occidente, così come le cantava l'aedo Demodoco alla mensa di Alcinoo, re dei Feaci".

Altri reperti di grande interesse archeologico sono conservati presso il Museo di Villa Arbusto (abbreviazione: M.V.A.) a Lacco Ameno, creato per accogliere il ricco frutto delle ricerche di G. Büchner e Coll. Ad es.: una delle più antiche raffigurazioni che si conoscano di Achille e Aiace (Fig. 5); un frammento di piatto euboico in cui, per la prima volta nella storia, è scritto il nome dell'artefice; un piatto con "il naufragio di Pithekoussai"; una ricca raccolta di sigilli di mercanti mediterranei; reperti egiziani; figure emblematiche della Colonia; pregevoli piatti, anfore, vasi sia locali che importati da Paesi mediterranei; Si tratta di reperti spesso unici nel loro genere.

E' più che evidente che la scelta di Pithekoussai come sede del primo stanziamento greco in Occidente fu una scelta razionale; non legata al caso. La posizione geografica dell'Isola nel Mar Tirreno, a giusta distanza sia dalla costa campana sia dal polo meridionale della zona d'influenza etrusca, le risorse del territorio insulare, il duplice, sicuro approdo protetto dal promontorio di Monte Vico, nell'attuale Lacco Ameno, ecc., furono tutti elementi positivi ben vagliati dagli Eubei nella loro scelta. La possibilità di entrare in contatto, in piena sicurezza, con gli Etruschi e i loro giacimenti minerari era, senza dubbio, l'obiettivo principe della nuova Colonia.

Sir George Beazley, come ricorda Ridgway, osserva che "in Occidente i popoli con cui i Greci vennero a contatto si trovavano su un livello di sviluppo inferiore al loro stesso, mentre in Oriente, per lungo tempo e sotto molti aspetti, la posizione era rovesciata". Comunque gli Etruschi erano senza dubbio il popolo più progredito della penisola italica, pronti a recepire pienamente il "messaggio" ellenico ed è certo che, come Ridgwsay sottolinea, "fra il 770 e il 700 a.C. gli Eubei di Pithekoussai crearono un vincolo indissolubile fra le vecchie Civiltà orientali e le più giovani Culture dell'Occidente".

I vantaggi ambientali offerti dall'isola di Pithekoussai non si fermavano all'approdo. L' Acropoli naturale di Monte Vico, con un'unica via d'accesso da terra, estremamente scoscesa, e i suoi strapiombi rocciosi sui tre lati marini, rappresentava l'ideale di una cittadella di comando e coordinamento politico-militare.

Come risulta, anche, dall'attuale vegetazione, dagli orti e dai vigneti che si trovano su parte della sommità del promontorio di Monte Vico, la zona dell' Acropoli doveva offrire qualche risorsa agricola "in loco" e pozzi d'acqua potabile, naturalmente se ben gestita dalla mano umana. All'epoca di Ovidio, circa sette secoli più tardi, Pithekoussai era stata da tempo sostituita dalla base marittima romana di Aenaria, nella zona dell'attuale Castello Aragonese. Il vecchio insediamento greco si presentava al poeta (Metamorfosi XIV, 90) "sterelique locatas colle Pithecusas" cioè un colle sterile. Questo giudizio, però, contrasta (P. Monti) con i ricchi reperti romani dell'epoca, trovati in loco. Malgrado che gli Eubei fossero soprattutto dediti all'industria (lavorazione dei metalli, costruzione dei vasi, ecc.) e al commercio, è certo che Pithekoussai poteva offrire ai coloni risorse agricole non trascurabili. Strabone, ad esempio, indica nella feracità del suolo isolano (eukarpia) uno degli elementi chiave della buona fortuna della nuova colonia. Non sembra, tuttavia, agli autori moderni, che l'osservazione di Strabone fosse più di un'ottimistica deduzione tratta dalla natura vulcanica del terreno oppure un commento superficiale alle deduzioni di Plinio (Nat. Hist. XXXI, 5.9) e di Stazio (Silvae III, 5,104).

Dora Büchner Niola, che ha condotto in questi anni un lungo e approfondito studio in questo settore, conferma che la principale risorsa dell'isola in epoca "pre-turistica" è sempre stata l'agricoltura, ma solo nel senso specializzato della viticultura.

Ciò è legato alla natura stessa del territorio isolano, collinoso, con balze disordinate che si levano attorno al Monte Epomeo (780 m.5. m), territorio caratterizzato, prevalentemente, da elementi tufacei vulcanici, quindi povero di humus, poroso, ricco di minerali. In queste condizioni la vite esplica un'azione importantissima in quanto è capace, di ritenere al suolo l'umidità e, allo stesso tempo, di "legare" al suolo stesso, con le sue fitte e tenaci radici, gli stretti terrazzamenti (le schiappe in dialetto locale) faticosamente create sui fianchi delle colline, impedendo, nel periodo delle piogge autunnali e invernali il "dilavamento" o addirittura lo smottamento dei tratti difficoltosamente portati a cultura (D. Büchner Niola).

E’ anche vero, tuttavia, che le aree di terreno pianeggiante, arabile, adatto ad altri tipi di agricoltura erano poche e frazionate. Una fitta, bassa "macchia mediterranea" ricopriva, fino al XV secolo, gran parte dell'isola. E' evidente che l'aspro territorio collinare, in continua via d'erosione, presentava per i primi coloni Euboici ben diverse caratteristiche delle "ondulate piane" presenti, ad esempio, in altre zone italiane in via di colonizzazione (Leontini, Sibari, ecc.).

Tuttavia le risorse agricole di Pithekoussai erano più che sufficienti alla piccola colonia e, inoltre, l'isola, poteva offrire altre risorse di eccezionale importanza, quali l'acqua, non solo termo-minerale, ma anche potabile (cosa non comune in un'isola tirrenica del Sud) grande abbondanza di legname, utilizzabile tra l'altro nei forni "industriali" per la lavorazione dei metalli, vasti giacimenti di ottima argilla vulcanica, materia indispensabile per creare un'industria vasaia (arte nella quale gli Eubei erano già maestri in patria). Da notare che tale argilla è la stessa con cui oggi, dopo un'adeguato periodo di maturazione in acqua termo-minerale calda, vengono preparati i rinomati "fanghi terapeutici".

L'industria vasaia pithekousana va considerata sotto due aspetti: quello strettamente utilitaristico, rappresentato da grandi vasi con funzione di contenitori di derrate, indispensabili nell'economia pubblica e privata e nel corso delle lunghe navigazioni, e quéllo artistico, importante - oggi - per avere un'idea del livello tecnico e culturale del popolo produttore, ma anche - all'epoca - per consentire, attraverso una visione diretta di rappresentazioni simboliche, miti, leggende letterarie e sacrali, un più agevole accostamento ed una maggiore "compressione" fra popolazioni anche molto lontane fra loro. Non a caso va ricordato che la parola ceramica deriva da Keramikos, nome di uno dei figli del dio Bacco: una nobile elevazione, particolarmente significativa, per una Arte, considerata, a torto, "minore" in una valutazione superficiale. Non meraviglia, quindi, che il vasellame euboico fosse considerato pregiato oggetto di scambio con gli agognati metalli etruschi. Sul piano più propriamente artistico, vasi di piccole dimensioni, anfore, coppe, ecc.., subiscono nel corso di poche generazioni un'evoluzione stilistica in rapporto ad analoghi orientamenti artistici in madrepatria, all'assorbimento parziale dell'arte campana ed agli scambi commerciali nell'area mediterranea.

Come già accennato, furono i grandi vasi contenitori, i pithioi, a dare il nome alla nuova colonia greca "Pithekoussai", così, come per primo ipotizzò Plinio il Vecchio (Nat. Hist., III, 8,82). Esistevano, come spesso accade in questo campo, altre versioni etimologiche sul toponimo della nuova Colonia eubea. Ad es., l'alessandrino Xenagora (90 a.C.) faceva derivare il nome greco dell'isola da pithekos, cioé scimmia (ne sarebbe derivato: l'isola delle scimmie). Strabone, all'epoca di Augusto, chiama Ischia Chruseia, in relazione alla lavorazione di gioielli d'oro fatta dai suoi artigiani. Inarime, altro nome dato da Virgilio all'isola, aveva un valore esclusivamente poetico-letterario.

Un'interessante ipotesi avanzata da Ridgway è "che il nome Pithekoussai sia semplicemente la forma ellenizzata di un toponimo indigeno riferito all'isola, o forse all'intero arcipelago flegreo (Ischia, Procida, Vivara)" .E' facile, infatti, che marinai e mercanti stranieri manipolino nomi difficili da pronunciare nella loro lingua, per es., Orcadiper le isole scozzesi "Orkneyes" e, al contrario, l'inglese Leghorn per l'italiano "Livorno".

A sostegno della tesi di Plinio può essere fatta un'ulteriore osservazione, cioè quella dell'uso corrente del nome di una località in rapporto al suo prodotto più famoso. Ad es., gli Arabi chiamano ancora Venezia "Bundukia", cioé "la città dei fucili" (da "bundùk", "fucile") perché per secoli la Serenissima ne fu la migliore produttrice.

Grazie alla bontà ed alla bellezza dei loro prodotti, gli Eubei di Pithekoussai furono subito in grado di avere pregiate merci di scambio, soprattutto gli agognati metalli etruschi. Analisi chimiche fatte eseguire da Büchner su materiale ferroso non ancora lavorato, trovato nella zona industriale di "Mazzola", a Lacco Ameno, hanno dimostrato la provenienza di detto materiale da antichissime miniere dell'isola d'Elba.

Da primi "assaggi" eseguiti sul piccolo fiume Fiora, che passando per la città etrusca di Vulci, si getta nel Tirreno a non molta distanza dall'isola d'Elba dopo aver attraversato un territorio ricco di risorse metallifere (antichissima, ad es., la ferriera di Canino) e vicino a città etrusche allora molto importanti (Tarquinia, Tuscania, ecc.), sembra logico poter supporre che i vasi pithekousani fossero, in parte, scaricati in questo approdo fluviale prima di proseguire la rotta marittima verso l'isola d'Elba, ove era imbarcato il grosso del materiale ferroso aggiungendolo, forse, ad altri metalli, anche pregiati, raccolti nel territorio estrusco continentale .

La lavorazione dei metalli etruschi avveniva a Pithekoussai, nella zona industriale di Mazzola, all'inizio di una piccola valle dominata da due erte collinette, "U Torone di Mezzavia" e "I Pizzi", che sovrastano l'attuale Villa Arbusto a Lacco Ameno (v. Fig. 3). Ci si è chiesto perché la lavorazione avesse luogo proprio in questa località, di non facile accesso. La risposta sta nel fatto che questa piccola valle (chiamata oggi "Canale") è sempre ben ventilata da brezze di Ponente e la buona ventilazione, nell'antichità, era essenziale per creare un equivalente, anche approssimativo, dei moderni "alti forni", onde raggiungere temperature sufficientemente elevate per cuocere l'argilla e per lavorare i metalli ancora grezzi provenienti dalle miniere etrusche.

La "fase euboica" di Pithekoussai si esaurì piuttosto rapidamente: esigenze d'espansione sul continente, per allargare i contatti con i territori metalliferi, il momento geologico particolarmente negativo che l'isola stava vivendo, con frequenti manifestazioni vulcanico-telluriche, e un profondo dissidio sorto in patria fra le due principali comunità euboiche (Eritreiesi e Calcidesi), portò la comunità pithekoussana a trasferirsi a Cuma.

Anche qui, come in tutta la storia isolana, le ragioni marinare sono state decisamente l'elemento traente: ad es., è importante rilevare che le costanti brezze da ponente, spirando "di traverso", sia all'andata che al ritorno, rispetto alla rotta di navigazione Pithekoussai-Cuma, rendono agevole la spola fra le due località, anche disponendo di primitive attrezzature veliche .

Come Pithekoussai, Cuma era un' Acropoli naturale: una collina isolata nella pianura circostante, che si erge, sul mare, ai limiti della costa campana. Con questa seconda Colonia, la prima in terraferma, la penetrazione greca in Campania acquistava una incisività particolare. Ripercussioni locali dei contrasti in Patria fra le cittadine eubee di Calcide ed Eretria (culminati con la cosiddetta "Guerra lelantina"), si ebbero anche a Cuma. A tal proposito, Strabone e Livio riferiscono che gli "Ecisti" (Consoli) di Pithekoussai, Megastene(calcidese) e Ippocle (eretriese), vennero ad un compromesso: la nuova Colonia doveva essere considerata calcidese, ma prendere il nome eretriese di Kyme (Cuma), che era la patria di Ippocle. Ben presto l'espansione greca in Campania divenne operante: Neapolis (Napoli), fu uno dei primi frutti di questa operazione, che portò a rapporti più stretti con tutte le popolazioni locali e ad una politica sempre più decisa nei riguardi dei vicini Etruschi.

E’ interessante rilevare che recentissime ricerche archeologiche tuttora in corso a Roma (C. Carandini) ai piedi del Palatino, hanno dimostrato che già nell'VII1 Sec. a. C su questo colle "non c'erano semplici case sparse, di fango e paglia, ma una entità giuridica e religiosa che a buon diritto poteva fregiarsi del titolo di "Città».

In ogni caso, con lo sviluppo di Cuma, gli Eubei uscirono praticamente dalla storia d'Ischia nel 700 a.C., dopo circa 70 anni di attività e di sviluppo da considerare fondamentali nell'evoluzione della Civiltà occidentale. Subentrarono agli Eubei altre popolazioni greche, mentre in Sicilia ed in Calabria veniva fiorendo la Magna Grecia e sempre più pressante era la presenza cartaginese .