1991-L'Isola d'Ischia terza parte

prof.Massimo Mancioli

Terza parte parte edizione del 1991

L'isola d'Ischia: cenni storici, miti, realtà, dall'antico Mondo Mediterraneo ai nostri giorni

Circa due secoli dopo la fondazione di Pithekoussai e di Cuma, si arrivò ad uno scontro armato fra Greci ed Etruschi. In aiuto di Cuma, minacciata per via di terra e di mare da quest'ultimi, intervenne Gerone (Hieron), il potente tiranno di Siracusa, con un'agguerrita flotta. La battaglia navale si svolse nel breve braccio di mare che separa Cuma dall'attuale Lacco Ameno e finì con la completa disfatta etrusca (474 a.C.). Poche battaglie dell'antichità ebbero tante testimonianze: da quella diretta di Pindaro, che ne ricavò una Ode, mentre era al seguito di Gerone, a scritti storici posteriori, al ritrovamento, ad Olimpia, di 2 elmi tolti agli etruschi, con iscrizione dedicatorie a Zeus per l'impresa svoltasi nel mare di Cuma .

L'esito di questa importante evento bellico determinò un sensibile calo del ruolo sino ad allora svolto dagli Etruschi nel Mediterraneo meridionale e la perdita dell'Etruria campana. Gli Etruschi, non dimentichiamo, avevano subito pochi anni prima, nel 507 a.C., un altro gravissimo colpo con la cacciata da Roma dei Tarquini (che erano etruschi).

Per i Romani, come giustamente osserva R. Bianchi Bandinelli, non si tratta va solo di un cambio di regime (dalla monarchia alla repubblica) ma della liberazione da una supremazia straniera. La cancellazione del diaframma etrusco a sud fu subito riempito dalla calata a valle di popolazioni montanare più primitive (Volsci, Sanniti, Equi, ecc.). Ad es., nel 421 a.C., Cuma era già sannita. Attraverso lotte durissime contro queste popolazioni montanare, l'isolamento politico e culturale dei Romani (e quindi degli Etruschi) dal mondo greco, ebbe finalmente termine.

Infatti, e ciò é molto significativo per dimostrare la cosa, l'introduzione di culti ellenici, che si era arrestata, riprende a Roma, a partire dal 293 a. C., quando, reduci da un viaggio appositamente compiuto al santuario di Epidauro, in Grecia, alla ricerca di una divinità in grado di debellare un'epidemia di peste, i Romani introdussero nell'isola Tiberina il culto greco di Esculapio.

Nel quadro complessivo delle sfere d'influenza nell'area mediterranea, a partire dal VI sec.a.C., é, come si é detto, sempre più preminente la presenza cartaginese, cioè '"eredo-fenicia". Successivamente, con il progressivo affermarsi di Roma e il calo della potenza etrusca, si arriva allo scontro decisivo fra Roma e Cartagine (Guerre Puniche). Con l'egemonia romana, infine, il Mediterraneo diventa il "Mare Nostrum", un bacino contornato da territori romani. Il ruolo e l'importanza dell'isola d'Ischia, nell' evolversi degli eventi, é, ovviamente, cambiato. Non più "testa di ponte" della colonizzazione greca in Occidente, né "perno" strategico della zona più contesa del Tirreno centro-meridionale, l'abilità degli artigiani ischitani nella lavorazione dei metalli e la vicinanza della grande base navale romana di Capo Miseno (un canale artificiale faceva comunicare il mare con il lago Averno, eccellente porto naturale) sembra abbia fatto nascere ad Ischia un fiorente centro cantieristico (P. Monti). Il centro marinaro romano è, ora, giacente, per antichi fenomeni vulcanici-tettonici svoltisi rapidamente (A. Rittmann), a 7-8 metri di profondità, nel braccio di mare compreso fra l'attuale Castello Aragonese, Ischia Ponte e Cartaromana

Sulla etimologia del piccolo centro - Aenaria - che dava il nome a tutta l'isola (apparsa per la prima volta nel periodo di Silla 88-82 a.C.) sembra convincente l'ipotesi della derivazione dal latino "Aenum" o "Haenum", che indica, in genere, i metalli. La più poetica ipotesi fondata sul mitico soggiorno ischitano di Enea, prima di approdare alle coste laziali, risulta priva di fondamento, anche in relazione alla data della prima diffusione letteraria del mito in questione (P. Monti).

Nel torbido periodo della guerra civile fra Silla e Mario, quest'ultimo trovò temporaneo rifugio, con le sue navi, ad Aenaria: conferma della "privilegiata" posizione dell'Isola nel Mar Tirreno.

Fra i molti centri campani dell'epoca, solo Aenaria e Neapolis non erano territori "dipendenti" da Roma, bensì "federati", con conseguenti benefici economico-sociali. L'importanza di Aenaria per Roma sembra, quindi, considerevole e potrebbe trovare una spiegazione nell'abile lavorazione dei metalli che consentiva, fra l'altro, la fornitura di armi leggere di particolare valore nel mondo romano (P. Monti, ad es., ricorda quei piombini acuminati che "sagittari" e "funditores" scagliavano con le frombole e con l'arco contro i nemici). Il materiale trovato nell'area sommersa di Aenaria può fornire una prima impressione positiva sull'efficienza produttiva della cittadina romana. Ad es., i "pani" di bronzo ripescati a Cartaromana (Plagae Romanae) recano inciso il nome dei titolari di questa "industria" (Gneo Atellio e il figlio Miserino). Il peso, la purezza dei metalli impiegati, la varietà delle forme, nel settori in cui ciò può rappresentare un pregio, sembrano collocare la "plumbaria" di Gneo Atellio e figlio a buoni livelli produttivi.

A Cartaromana sono stati rinvenuti lingotti di bronzo di Kg. 36,300, più del doppio di quelli, pur famosi di Laurion nell'Attica e superiori a quelli di Cartagena (Kg. 28,400). La produzione di Aenaria è riassumibile in questo elenco: lingotti di piombo, di rame e di stagno, di vario taglio: "armi-missili", lastre piombifere, ancore per le navi, punteruoli forati, chiodi di rame e residui sminuzzati di molti altri tipi di manufatti navali (P. Monti).

Dal punto di vista Termale, l'incremento delle cure sia balneoterapiche che idropiniche (cioé per bibita) fu pari alla larga diffusione di questo tipo di terapia nel mondo romano.

Venne anche introdotto nell'isola (forse, per la prima volta nella storia dell'Idrologia Medica, come ricorda A. Pazzini) la pratica curativa fango-terapica (Aquae arenariae). Gli sconvolgimenti tellurici e le manifestazioni vulcaniche del periodo romano impedirono (o quanto meno sconsigliarono) la creazione di grandi stabilimenti termali; nonostante ciò, le presenze per cura nell'Isola ebbero un forte incremento sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo. Una testimonianza di grande interesse in tal senso fu rilevata con la scoperta, nel sec. XVIII, nei pressi della fonte Nitrodi, a Barano, della più importante raccolta votiva mai trovata nel territorio italiano dell'Impero romano. Trasportata al Museo Nazionale di Napoli a cura del re Carlo III (promotore di grandi iniziative artistiche tra le quali la famosa fabbrica di porcellane di Capodimonte), la raccolta consta di 11 ex voto marmorei scolpiti a bassorilievo, dedicati al dio Apollo ed alle ninfe Nitrodi "patroni e custodi celesti» della sorgente e di una sezione di altarino dedicato ad Eros. Questa raccolta votiva, minuziosamente descritta da Lidia Forti, si presta ad interessanti considerazioni.

Innanzitutto, la buona fattura artigianale dei bassorilievi votivi mette in risalto la qualità dei personaggi che frequentavano la sorgente, fatto notevole considerando che in questo periodo, in territorio campano prospicente Ischia, Baia era indiscutibilmente la "'metropoli termale" del mondo romano. Tanto "metropoli", con i suoi 350 impianti termali, pubblici e privati (A.Pazzini), da far scrivere ad un illustre letterato romano ad un suo amico rimasto a Cuma: "Beato te che sei rimasto in un luogo, ormai, tranquillo: qui a Baia si vive peggio che a Roma, tanta è la confusione, la corruzione, il continuo ingannevole gioco politico….

Properzio (Annali, XIV, 18) e Tacito (Annali, XIV c. 3) denunciarono Baia come "luogo di loschi intrighi", spesso culminati in delitti politici di enorme rilevanza nel mondo romano; ad es., l'uccisione di M. Claudio Marcello, il beniamino di Augusto, designato alla sua successione nella conduzione nell'Impero, e, pochi anni dopo, quella di Agrippina, madre dell'imperatore Nerone.

La concentrazione a Baia, in relazione al suo patrimonio termale e al ricco, sofisticato sistema di utilizzazione delle sorgenti in Terme pubbliche e ville patrizie che raccoglievano il meglio dell'aristocrazia dei nomi, del potere, del danaro e del pensiero che Roma poteva esprimere, aveva, quindi, un rovescio della medaglia, avvertito da chi preferiva la più naturalistica impostazione del Termalismo nell'isola di Aenaria. Un altro aspetto interessante della raccolta votiva di Nitrodi è l'elencazione precisa del nome del donatore dell'ex-voto ("per grazia ricevuta" ) ai Patroni celesti della fonte. Spiccano nel gruppo tre nomi di medici, il che ha ovviamente un notevole significato. Innanzitutto quello di Menippo "Medico Subalpino" (Fig. 17) e poi, quelli di A. Monnus e N. Fabius, con i loro allievi; tutto ciò fa, logicamente, supporre che presso la fonte Nitrodi agisse una vera e propria Scuola di specializzazione, a testimonianza di un alto livello professionale nella utilizzazione terapeutica della sorgente stessa. In effetti, da scritti dello stesso periodo e dalle stesse raffigurazioni scultoree dei bassorilievi votivi, l'uso balneologico e idropinico dell'acqua Nitrodi é chiaramente espresso, con riferimenti anche, all'effetto diuretico (utile nella calcolosi renale, stati iper-uricemici, ecc.) e nel settore dermatologico. Qui, in particolare, il concetto greco-romano di "salute-bellezza" trova la sua massima, più evidenziabile manifestazione.

Non certo a caso, quindi, il quarto nome importante nella clientela che frequentava la sorgente e che ringraziava le Divinità ad essa preposte, é quello di Argenna, libertà dell'imperatrice Poppea...

A parte l'attività termale presso questa sorgente, è certo che in epoca romana altre sorgenti furono utilizzate. Reperti archeologici, sparsi in tutto il territorio, documentano una elevata ripresa della vita sociale nell'isola di Aenaria.

Così, ad es., è interessante vedere, ai nostri giorni, i resti pittoreschi di un ninfeo facente parte di una villa romana sul mare, ai piedi del promontorio di Monte Vico, nell'area ora occupata dal molo degli alberghi "Sporting" e "Royal Sporting", a Lacco Ameno. A breve distanza si apre, inoltre, nella parete rocciosa del promontorio, una grotta, attualmente con il pavimento sommerso, ma in epoca romana sopra il livello del mare, punto di approdo di un porticciolo turistico ed ingresso ad una villa sovrastante. Il pessimistico commento di Ovidio, già riportato, sulla "arida e desolata collina" che era stata la fiorente Acropoli di Pithekoussai, sembra quindi, ridimensionabile. Lacco (da Locusqui dicitur Eraclius, "luogo che si chiama Eraclio" era veramente il luogo di otia e di cure termali più apprezzato nell'Isola e tale restò dal I sec. a.C. al III-IV sec. d.C., cioé fino al tramonto dell'Impero.

L'Aenaria romana, in virtù, soprattutto, della sua posizione tirrenica sulla via dell'Oriente, fu ancora teatro di operazioni niente affatto secondarie nelle turbinose vicende politiche di Roma: così nel conflitto fra Mario e Silla, così nel susseguente episodio relativo all'attuazione del "Patto di Miseno" (il famoso tentativo di compromesso fra Antonio, Ottaviano e Sesto Pompeo). Ottaviano attendeva nell'Isola d'Ischia Antonio e Sesto Pompeo, figlio del grande Pompeo, che veniva dalla Sicilia con una flotta imponente. Come dice G. D'Ascia (gustosamente ricordato da P. Monti), "Egli (Ottaviano) montando una galea a sei ordini di remi, giunse in questi paraggi (isola d'Ischia) e quivi, come in un luogo sicuro e di sua fiducia perché abitato da gente del suo partito, attese i suoi emuli. La pace fu solennizzata da un lauto banchetto che Pompeo diede ai suoi due rivali a bordo della sua galea, dirimpetto ad Ischia".

Qui s'inserisce l'aneddoto di Menas, fedele ed astuto liberto di Pompeo, che propose al suo padrone di approfittare della situazione per tagliare le corde di ormeggio delle altre due navi, prenderle a rimorchio e divenire, così, "padrone del mondo". Lapidaria, secondo Appiano (Hist. IV-V, 69 e 71), la risposta di Pompeo:" Dovevi farlo senza dirmelo, ma giacché mi hai comunicato il tuo divisamento, io mi contento più di quello che mi rimane, purché sia leale, che acquistare l'Universo procacciandomi il nome di traditore"

La "pace Augustea" portò al consolidamento dell'ordine romano" nel Mediterraneo e rafforzò l'interesse verso Ischia sia come centro di lavoro marinaro che come luogo di "otia" e di cure. Nello stesso tempo, uno specifico decreto del Senato Romano dispose che i minerali estratti dalle miniere dell'isola d'Elba dovevano essere lavorati, come nel passato, nell'isola di Aenaria: un ulteriore riconoscimento all'abilità degli artigiani locali e anche un impegno di notevole importanza nel contesto socio-politico del Golfo di Napoli.

Ecco come Stazio (in una letterale traduzione di P. Monti) ci presenta la situazione dell'epoca:"... ne' mancano nei luoghi circostanti i diletti di una varia vita, sia che ti piaccia visitare la vaporifera Baia, il cui lido é una delizia, o gli antri ispirati alla Jatidica Sibilla, o la collina di Miseno, memorabile per il remo troiano, o i vigneti succosi del bacchico Gauro, o Capri, antica dimora dei Teleboi, dove un faro, emulo della luna che vaga di notte, innalza la sua luce propizia a vantaggio dei trepidi naviganti, o i gioghi di Sorrento, che producono un vino secco e robusto, o gli stagni salutiferi di Ischia, o Stabia che rinasce.." (vV. 95-104).

Ovviamente intenso, in epoca romana, il traffico marittimo che dal Golfo di Napoli e da Aenaria s'irradiava a tutto il Mediterraneo. Oltre alle navi commerciali, approdavano ad Aenaria, unità militari provenienti dalla vicina grande base navale di Miseno, cui era destinato il controllo di tutto il versante tirrenico. L'approdo di Aenaria era situato in una posizione privilegiata ripetto alla rotta per Capo Miseno: rotta breve e resa sicura dalla protezione, in caso di burrasca, offerta dall'isola di Procida e dall'isolotto di Vivara. Come osserva P. Monti, nella Storia dell'antica marineria è descritto un unico grande naufragio, avvenuto nel 301 a.C., quando, come narra Diodoro Siculo, molte navi "onerarie" di Agatocie di Siracusa, cariche di bottino conquistato in una spedizione in terra siciliana, furono travolte da una grande tempesta e si schiatarono, alla deriva, sulle coste di Pithekoussai (cfr, "Il naufragio di Pithekoussai").

Sempre Pietro Monti ricorda i numerosi ritrovamenti subacquei di ancore nel mare ischitano: dalle primitive ancore di pietra (rotonde o trapezoidali, dell'Età del Bronzo) a quelle, talvolta gigantesche, fino ad un peso di 3 quintali, di piombo, con un anello centrale in cui veniva infissa, trasversalmente, una robusta trave lignea, per dare maggiore stabilità all'ancoraggio.