Quel che una pianta sa

Quel che una pianta sa

illustrazioni di Simonetta Capecchi

Come fa un fiore di ciliegio a sapere quando è ora di sbocciare? Si rende davvero conto che è arrivata primavera? E come fa una Venere acchiappamosche a capire quando far scattare le sue foglie e intrappolare la preda? È forse in grado di avvertire le sottilissime zampe dell’insetto?  Pubblichiamo oggi la scheda del libro “Quel che una pianta sa“, del biologo Daniel Chamovitz, pubblicato da Raffaello Cortina Editore. L’autore punta lo sguardo sulle modalità con cui i vegetali fanno esperienza del mondo, dai colori che “vedono” agli odori che “annusano”, a quel che “ricordano”.


Il parallelismo fra i sensi delle piante e i sensi negli esseri umani ha cominciato ad affascinarmi negli anni Novanta del secolo scorso, quando ero ancora un giovane assegnista di ricerca alla Yale University. Mi interessava studiare un processo biologico specifico delle piante che non avesse alcuna relazione con la biologia umana (probabilmente, per reagire al fatto che in famiglia c’erano altri sei dottori, e tutti in medicina).Noi e i vegetali siamo figli della medesima evoluzione darwiniana, anche se due miliardi di anni fa è avvenuta la grande biforcazione tra le bellissime forme animali e quelle vegetali. In questo viaggio tra erbe, fiori e alberi, possiamo imparare come le piante distinguano l’alto dal basso, come si accorgano che una loro vicina è infestata, scoprendo che con i girasoli e le querce abbiamo in comune molto più di quanto possiamo immaginare. Ecco il prologo del libro…

Perciò, mi attraeva indagare su come le piante usino la luce per regolare il proprio sviluppo, e nel corso delle mie ricerche ho scoperto un gruppo specifico di geni necessario alla pianta per determinare se si trova esposta alla luce oppure al buio. Con mia grande sorpresa e contro ogni mia intenzione, in seguito ho scoperto che lo stesso gruppo di geni fa parte anche del DNA umano. Questo mi ha spinto a chiedermi quale azione svolgano nelle persone questi geni apparentemente “specifici delle piante”. Molti anni più tardi e dopo svariate ricerche, ora sappiamo che questi geni non soltanto si sono mantenuti sia nei vegetali sia negli animali, ma che in entrambi i casi regolano (insieme ad altri processi dello sviluppo) anche le risposte alla luce!

Mi sono reso conto, quindi, che la differenza genetica fra le piante e gli animali non è così rilevante come credevo un tempo, e ho cominciato a interrogarmi sui parallelismi fra le piante e la biologia umana proprio mentre le mie ricerche passavano dallo studio delle risposte alla luce da parte delle piante alla leucemia del moscerino della frutta. Ho scoperto che, pur se nessun vegetale a mia conoscenza dirà mai: “Dammi da mangiare, Seymour!”, ci sono molte piante che “ne sanno” un bel po’.

Anzi, noi tendiamo a non prestare troppa attenzione all’apparato sensoriale così straordinariamente sofisticato dei fiori o degli alberi del nostro giardino. Mentre la maggior parte degli animali può scegliere il proprio ambiente, cercare riparo da un temporale, procurarsi cibo e una compagna o un compagno, oppure migrare con il cambiare delle stagioni, le piante devono essere in grado di resistere e adattarsi continuamente ai mutamenti climatici, agli sconfinamenti dei vicini e ai parassiti che le invadono, senza avere possibilità di spostarsi in un ambiente migliore. Per questo, le piante hanno sviluppato complessi apparati sensoriali e regolatori che consentono di modulare la propria crescita in risposta a condizioni sempre differenti. Un olmo deve sapere se il vicino gli fa da scudo rispetto al Sole, in modo da trovare la maniera di crescere verso la luce a sua disposizione. Una lattuga deve sapere della presenza di famelici afidi, in modo da produrre sostanze chimiche velenose che li uccidano. Un abete di Douglas deve sapere se venti sferzanti stanno scuotendo i suoi rami, in maniera tale da poter far crescere un tronco più robusto. I ciliegi devono sapere quando fiorire, e così via.

A livello genetico, le piante sono più complesse di molti animali, e alcune delle scoperte più importanti di tutta la biologia sono il risultato di ricerche condotte su di loro. Robert Hooke scoprì l’esistenza delle cellule nel 1665, mentre studiava il sughero con il primitivo microscopio che si era costruito da solo. Nel diciannovesimo secolo Gregor Mendel enunciò i principi della moderna genetica usando piante di piselli; e alla metà del ventesimo secolo Barbara McClintock usò il mais per mostrare la trasposizione genica, ovvero che i geni possono saltare da un punto all’altro del corredo genetico. Oggi sappiamo che questi “geni saltanti” sono una caratteristica di ogni DNA e che negli esseri umani sono strettamente correlati con il cancro. E anche se riconosciamo in Charles Darwin il padre fondatore della moderna teoria dell’evoluzione, alcune delle sue scoperte più importanti hanno riguardato specificamente la biologia delle piante, e nelle pagine di questo libro ne incontreremo diverse.

Evidentemente, il mio uso della parola “sapere” è tutt’altro che ortodosso. Le piante non hanno un sistema nervoso centrale; una pianta non ha un cervello che coordini l’informazione per l’intero suo organismo. Tuttavia, le diverse parti di una pianta sono strettamente collegate fra loro, e le informazioni riguardanti la luce, le sostanze chimiche presenti nell’aria e la temperatura vengono scambiate costantemente fra radici e foglie, fiori e steli, per far sì che il vegetale si ponga nelle migliori condizioni nei confronti dell’ambiente. Non possiamo mettere sullo stesso piano il comportamento umano con le modalità con le quali funzionano le piante, ma vi chiedo di sodalizzare con me se per tutto il libro ricorro a una terminologia riservata di solito all’esperienza umana. Quando esploro quello che una pianta vede o annusa, non sostengo con questo che la pianta abbia occhi oppure naso (o un cervello che influenzi l’input sensoriale con l’emozione). Ma credo che questa terminologia ci aiuti a considerare secondo un’altra ottica la vista, l’odorato, e quello che è veramente un vegetale. E in definitiva ciò che siamo noi.

Il mio libro non è “La vita segreta delle piante; se cercate tra le mie pagine la dichiarazione che le piante sono esattamente come noi, non la troverete. Come ha sottolineato il noto fisiologo vegetale Arthur Galston nel 1974, nel momento di maggiore successo di quel libro, estremamente popolare, ma carente dal punto di vista scientifico, dobbiamo stare in guardia da “bizzarre affermazioni senza adeguate evidenze a sostegno”. Peggio ancora che fuorviare il lettore ignaro, “La vita segreta delle piante” ha avuto come conseguenza un fallout scientifico che ha ostacolato importanti ricerche sul comportamento dei vegetali, rendendo gli scienziati diffidenti nei confronti di qualsiasi studio che accennasse minimamente a parallelismi fra i sensi degli animali e i sensi delle piante.

Negli oltre tre decenni trascorsi dal momento in cui “La vita segreta delle piante” ha suscitato grande interesse da parte dei media, la nostra comprensione della biologia vegetale è cresciuta enormemente. Nel mio Quel che una pianta sa passerò in rassegna le ultime ricerche nel campo della biologia vegetale e mostrerò che le piante posseggono davvero dei sensi. Ciò non significa che il volume costituisca un panorama esaustivo di quanto la scienza è in grado di affermare oggi sui sensi delle piante; occorrerebbe un manuale comprensibile soltanto dai lettori più addentro alla materia. Invece, in ogni capitolo, concentrerò l’attenzione su uno dei sensi umani, confrontando ciò che questo rappresenta per le persone da una parte e per le piante dall’altra. Descriverò come l’informazione sensoriale venga percepita e poi elaborata, e le implicazioni ecologiche che ha per una pianta il senso preso in esame. E ogni capitolo conterrà sia un excursus storico sia uno sguardo sullo stato dell’arte. Ho scelto di parlare di vista, tatto, udito, propriocezione e memoria; dedicherò un capitolo anche all’odorato, ma non mi soffermerò sul gusto (i due sensi sono comunque strettamente correlati).

Noi siamo del tutto dipendenti dalle piante. Ci svegliamo in case fabbricate con il legno delle foreste del Maine, ci versiamo una tazza di caffè macinato da chicchi cresciuti in Brasile, indossiamo magliette fatte di cotone, stampiamo le nostre relazioni su carta, portiamo i nostri figli a scuola in auto con pneumatici fatti di gomma cresciuta in Africa e ci riforniamo di benzina derivata da cicadi morte milioni di anni fa. Estratti chimici delle piante riducono la febbre (pensate all’aspirina), e trattano il cancro (Taxol). Il grano ha portato alla fine di un’epoca e all’inizio di un’altra, e l’umile patata ha spinto a migrazioni di massa. Le piante continuano a ispirarci e a sorprenderci: le possenti sequoie sono gli organismi singoli e indipendenti più grandi al mondo, le alghe sono alcuni dei più minuscoli, e le rose inducono qualsiasi persona al sorriso.

Sapendo quello che le piante fanno per noi, perché non soffermarci un attimo a scoprire cosa hanno svelato su di loro gli scienziati? Sarà il nostro viaggio nel mondo della scienza che studia la vita delle piante; cominciamo, quindi, a capire cosa vedono davvero mentre passano il tempo nel nostro giardino.

Daniel Chamovitz *

* Biologo, dirige il Manna Center for Plant Biosciences all’Università di Tel Aviv. È autore di scoperte rivoluzionarie nell’ambito della biologia delle piante, e le sue ricerche sono state pubblicate sulle riviste più prestigiose.
Fonte: http://www.greenews.info