Ischia: e le terme tornano nella natura di Annunziata Berrino estratto dal libro “Andar per Terme” il Mulino edizioni Prima parte

Ischia: e le terme tornano nella natura
di Annunziata Berrino
estratto dal libro “Andar per Terme” il Mulino edizioni
Prima parte

E di isola in isola approdiamo a Ischia.

L’abbiamo scelta come ultima tappa del nostro andare per terme perché con la sua acqua laveremo via, almeno l’immaginario, il grigio di una politica termale di secondo Novecento che fu così avida e insulsa da prosciugare le sorgenti più belle e vitali e da consegnarci all’ asciutto non solo i curisti ma tanta cultura termale.

A Ischia no. E certo perché la politica termale non diede anche qui il meglio di sé, ma perché nell’ eccezionale ricchezza di quest’ isola, che è tutta una terma, qualche spazio riuscì a trovare, e in alcuni casi a difendere, percorsi liberi, innovativi e geniali, capaci di rispondere ai desideri di tanti uomini e donne contemporanei.

Nel 1588 Giulio Jasolino, professore di anatomia all’ Università di Napoli, osservò per quattordici anni tutta l’isola e individuò trentacinque fonti calde minerali, diciannove sudatori e cinque arene, oltre a tantissimi fenomeni naturali di diversa natura; di ì a qualche anno, nel 1604, un gruppo di nobili napoletani, fondatori del Pio monte della misericordia di Napoli, aprì un ospizio a Casamicciola, nel quale poter curare i poveri del regno con i bagni miracolosi dell’isola. Lo fondarono sulla sorgente del Gurgitello, che il medico Jasolino aveva sperimentato e indicato come tra le più terapeutiche dell’isola. Agli inizi erano ospitati settantaquattro poveri per volta, in cicli di dolci- quindici giorni tra luglio e agosto, ma negli anni il Pio monte non finì mai di ingrandire fabbriche e di perfezionare le cure erogate. Quando la balneoterapia fu all’ apice del suo successo, a metà Ottocento, l’edificio era in grado di ospitare contemporaneamente settecento trentatré infermi, e tanti erano bambini. Era uno stabilimento immenso, aggiornato secondo le tecniche più avanzate, portate a Ischia dal medico direttore del tempo Giuseppe Palma, inviato ad assumere informazioni nei più avanzati stabilimenti termominerali balneari italiani.

Mentre il Pio monte portava avanti il suo progetto benefico, nel corso del secondo Settecento le risorse termali dell’isola d’Ischia suscitavano opinioni contrastanti da parte dei medici. Di certo le tante acque calde, sabbie e stufe naturali erano da sempre utilizzate dalla popolazione isolana e napoletana, e tra l ‘isola e la capitale c’ era un intenso viavai di botti di acqua, in particolare della Gurgitello tanto che molte erano le voci di frode. Se la sua instabilità geologica aveva sempre scoraggiato investimenti importanti, sulla sua bellezza naturalistica erano tutti d’ accordo: l’ isola era un vasto vigneto, il clima era dolce e la sua vegetazione ricordava quella tropicale. Dai primi decenni dell’ Ottocento la moda del soggiorno ai bagni e alle acque arrivò anche qui, dando vita alle prime attività imprenditoriali.

La fama dell’isola cominciò ad ampliarsi e il teatro italiano fece sua anche Ischia. Già nel 1832 Ferdinando Pontelibero ambientò un atto unico, La finta ussaro, ai bagni di Ischia, mettendo in scena a Milano l’immaginario comune, compiacendolo e alimentandolo. Raccontava che anche a Ischia erano inviati i soldati delle truppe presenti nel regno e non solo i napoletani: erano ussari, giovani e belli, ed erano naturalmente contesi dalle donne che vivevano sull’ isola. Qui non c’ era una gran società, ma qualche comitiva brillante non mancava, alla quale partecipavano medici, amministratori, farmacisti, giudici, e segretari. Coinvolte in schermaglie veloci e divertenti, le figure che componevano l’ umanità che frequentava i bagni di Ischia erano messe impietosamente a nudo: il capitano degli ussari, già sposato, prolungava il suo soggiorno terapeutico ai bagni e si dichiarava celibe per potersela spassare con una < vedovella >; la vecchia zia imbellettata e coi denti posticci cercava l' amore ad ogni costo, persino proponendosi agli amanti della giovane nipote; la giovinetta nubile, carina e disinibita scartava uno dopo l' altro i pretendenti, aspirando al più bello, ma si sarebbe accontentata del più sincero; la moglie tradita, per scoprire l' infedeltà del marito ussaro, si travestiva e si fingeva anch' essa un militare; le amiche cresciute in una casa di educazione a Napoli e andate spose a due militari si rincontravano con gioia e diventavano complici; la vedova del capitano dei granatieri si riposava coll' ufficiale passato agli ussari col grado di tenente... Insomma un movimento che cominciava ad animare l'isola e i suoi bagni, pur senza naturalmente raggiungere lo splendore mondano di Castellammare. Ad ogni modo a Casamicciola, intorno alla piazza dei bagni, a metà Ottocento sorsero numerosi stabilimenti privati: il Belliazzi, il Manzi, il Piesco e molti altri, che fungevano anche da alberghi pensioni. All' interno ciascuno operava nel migliore dei modi: docce alternanti, polverizzatori, applicazioni elettriche, riprendendo i ritrovati degli stabilimenti idroterapici del resto d'Europa. Le terme Manzi ad esempio vantavano una bouvette fornita di tutte le acque minerali dell'isola e poteva fornire quattrocento bagni al giorno e altrettante docce, oltre a una vasca o cisterna natatoria di acqua termominerale nella quale potevano nuotare fino a dieci persone contemporaneamente.

Nelle altre località dell'isola erano tante le sorgenti, tra loro diverse e quasi tutte termali. La sorgente del Pontano, Fornello, Fontana, Castiglione, La Rita, la Santa Restituta a San Montano, la Nitrodi; e poi le stufe a Castiglione, a Cacciuto, a San Lorenzo, a Testaccio. Insomma una straordinaria ricchezza di acque e terme, intorno alle quali comunque a metà Ottocento l'offerta di servizi qualitativamente accettabili, secondo gli osservatori del tempo, era modestissima: due stabilimenti non eccellenti, due buone case di salute: la Maison de Santé del medico francese Jacques Ėtienne Chevalley de Rivaz (1801 - 1863) e l'ospedale del Pio monte della misericordia. Nel giugno del 1864 il nome di Ischia fece il giro della stampa internazionale, perché il generale Giuseppe Garibaldi (1807 - 1882) curava la ferita procuratasi in Aspromonte a Casamicciola. Allora tre o quattro vapori attraccarono ogni giorno alla marina carichi di visitatori, dei quali moltissimi tornarono senza aver potuto parlare e vedere l'uomo della leggenda: il generale Garibaldi. Pochi anni dopo, nella sua Guida alle acque minerali,  Guglielmo Jervis a metà anni Settanta raccontò degli splendidi risultati clinici ottenuti con una sola delle sorgenti minerali dell' isola d'Ischia su migliaia di infermi, ma cominciò anche a denunciare che il sistema di scavo dei pozzi, lasciato alla libertà dei piccoli proprietari, non offriva garanzie: gli ischitani non volevano spendere per un esame chimico rigoroso e accurato delle loro acque, e l' isola, che poteva essere comparata a Vichy, pur avendo centinaia di sorgenti, aveva pochissime analisi disponibili. Di lì a poco due terremoti devastarono Ischia. Il primo 1881, il secondo nel 1883 e fu di potenza eccezionale, con epicentro proprio a Casamicciola: i morti furono oltre duemilatrecento, che rimasero sotto le macerie di bagni, stabilimenti, alberghi e ospizi di assistenza. Il crollo delle fabbriche del Pio monte della misericordia causò una strage di bambini e lasciò attonita tutta Napoli. La storia del termalismo a Ischia ebbe una drammatica battuta di arresto e la ripresa nel primo dopoguerra avvenne proprio sulla base della forza terapeutica delle sue acque, dei suoi fanghi e delle sue sabbie. Negli anni Trenta, come sull' isola di Vulcano, anche nei Campi Flegrei e sull' isola d'Ischia si esplorò il sottosuolo alla ricerca di energia geotermica. Nel 1936 una società elettrica ottenne una concessione sull' isola d'Ischia per realizzare un programma di ricerche, e nel 1938 ad essa subentrò la Safen, Società forze endogene napoletane, che avviò una campagna sistematica di trivellazioni, allo scopo di istallare piccole centrali, sul tipo di quelle di Lardarello in Toscana. Le perforazioni interessarono anche una baia, la baia di Citara, che era coltivata a orti che, per l'esposizione favorevole, producevano soprattutto primizie di ortaggi. Qui si ottennero erogazioni di energia anche di una certa continuità, ma il piccolo impianto termoelettrico istallato - un altro era a Sant' Angelo - poteva coprire solo un fabbisogno locale. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale interruppe le perforazioni, che furono riprese tra il 1950 e il 1954, ma senza convinzione, perché non si raggiunse il successo industriale sperato. La tecnologia non appariva adeguata: le incrostazioni e la temperatura delle acque, che toccavano anche i centocinquanta gradi, danneggiavano irrimediabilmente le tubazioni e le pompe. Nel 1956 tutte le ricerche furono sospese.

Le fotografie di quegli anni della vasta baia di Citara mostrano la piccola centrale geotermica e tutto intorno le proprietà coltivate: a pochi metri dalla riva, tra le coltivazioni, si scorgono piccole vasche di acqua; i locali le chiamavano peschiere ed erano piene di acqua termale che veniva sollevata dal sotto-suolo mediante secchi, che giravano su un ingegno a due ruote, azionate da asini bendati. Prima di essere usata per irrigazione, l'acqua termale doveva infatti essere lasciata a decantare e raffreddare in queste piscine che, si racconta, essendo usate dalla popolazione locale anche per bagni termali, certamente suggerirono agli ospiti stranieri l'idea di creare piscine termali sul bordo del mare.

Fu allora che sulla vasta area della baia di Citara, abbandonata dalle trivellazioni, nel 1958 il medicoviennese Gernot Walde ebbe l'intuizione di creare vasche termali a cielo aperto e di circondarle con un giardino mediterraneo. Si cominciò con due sole piscine, realizzate per iniziativa di una società per azioni di cui facevano parte imprenditori svizzeri, tedeschi, romani e napoletani che, superando le diffidenze e le resistenze locali, sostennero Walde nel suo progetto. Nacque così il primo parco termale. Le sorgenti si scrollavano di dosso il peso degli stabilimenti e ritornavano alla natura e alla libertà.

Non più santi a tutela e a controllo della morale e della salute, ma un ritorno alla solare grecità dell'isola, alla mediterraneità, agli dei dell'Olimpo greco: il parco termale venne infatti intitolato a Poseidone, dio del mare, a cui sarebbe seguito quello creato nell'altra area di trivellazioni, a Sant'Angelo, intitolato ad Afrodite e Apollo. Il progetto di Walde rispondeva perfettamente ai bisogni di quegli anni. In quel secondo dopoguerra, dopo gli orrori del conflitto, la ricerca assoluta di sole,luce, mare, semplicità e informalità stava portando al successo indiscusso le coste e le isole mediterranee. Complice la cultura balneare americana arrivata nel Mediterraneo assieme alle truppe alleate, anche a Ischia arrivavano l'edonismo e l'eco di un turismo che si ispirava alle atmosfere delle isole hawaiane del Pacifico. Con l'arrivo del turismo cosiddetto delle «5 S», sun, sand, sea, spirit and sex, Ischia, che, pur avendo risorse termali eccezionali, non aveva mai conosciuto un reale sviluppo, conobbe la domanda esplosiva di vita in spiaggia.

E fu la fortuna di Ischia. Sull'isola verde la cultura balneare più esuberante incontrava l'antica cultura termale e la rigenerava. Mare e terme, combinate insieme, potevano rispondere non solo alla moda del momento ma anche al bisogno di dilavare; ricordi e le ferite della guerra. Con un colpo di spugna, il progetto di Walde cancellava l'immaginario delle terme del passato, con le loro vasche al chiuso dei camerini bui, i corridoi, le sale d'aspetto, le panchine e le inalazioni, i camici dei medici, gli apparecchi sanitari e gli odori dei disinfettanti. Il mare e le terme si incontravano e si fondevano con la natura. A Ischia si voltava pagina e si scriveva un nuovo capitolo della storia del termalismo: i parchi termali. La storia delle origini del primo parco termale di Ischia è ancora tutta da scrivere, ma sappiamo che i primi frequentatori del Poseidon furono naturalmente soprattutto stranieri e in gran parte tedeschi, così come tedesca fu la proprietà: è noto che nei primi anni Settanta la Safen vendette l'area oggetto delle trivellazioni a Ludwig Kuttner, un industriale bavarese, magnate e mecenate che la gestì con la società Giardini Poseidon del dottor Ludwig Kuttner - Dr. Ludwig Kuttner'S Poseidon Gärtner, e che nel 1981 il parco passò all'attuale proprietà. Al Poseidon, col passare degli anni le piscine termali divennero venti, tutte alimentate dalle vene che attraversano la baia, con acque modulate a diverse temperature, alle quali furono aggiunte saune naturali scavate nel tufo, getti, docce e percorsi, oltre naturalmente a tutti i servizi propri di uno stabilimento balneare marino, sempre meglio orientato al benessere e alla sostenibilità ambientale. Così ancora oggi.

Sulla strada indicata da Walde, altre iniziative sorsero sull'isola e una di queste è una storia tutta italiana.

Segue nella seconda parte