Maraniello a Ischia
di Eleonora Fiorani
Possiamo considerare la mostra di Giuseppe Maraniello, napoletano di origine, un ritorno alla propria terra, o Haimat, nelle sue radici antiche, da cui ci sembra nascere la magia e la vocazione poeticamente e sottilmente metafisica della sua ricerca e della sua opera. E’ un ritorno in grande stile che si articola in due momenti, la mostra retrospettiva con opere dal 1978 a oggi, alla torre Guevara e l’installazione di una nuova opera “Il volo”, un angelo ermafrodito, nel parco termale del Negombo, ideato dal paesaggista Ermanno Casasco. E’ un’opera pensata proprio per quel luogo, inaugurata il in concomitanza con la mostra mercato, Ipomea seconda edizione.
L’essenziale struttura a pianta quadrata della cinquecentesca torre Guevara è una sede ideale, un misterioso scrigno per gli infiniti scrigni e rivelazioni inaspettate dell’opera di Maraniello. E’ una torre di guardia, che sorge sulla collinetta di San Anna, luogo dell’antica Aenaria, ed è posta dirimpetto al castello aragonesco, ma non ne condivide le potenti e arcigne forme, anzi, è una sorta di suo contraltare. La leggenda la vuole collegata da una galleria sotterranea, di cui si sarebbero serviti Michelangelo e Vittoria Colonna per i loro incontri amorosi. E, se certo si tratta solo di un una leggenda, essa ci parla di questo luogo e della torre come di uno spazio edenico che era infatti circondato da una giardino accessibile solo per mare, in un luogo in cui terra e mare sembrano confondersi e perdersi l’uno nell’altro.
E ciò ci porta a Marianello, alla sua passione per le esplorazioni dei contrari, dei complementari, del rovesciamenti, il sopra e il sotto, il vuoto e il pieno, l’uno e il doppio, nei colori, nei materiali, nelle forme. Dinnanzi alle opere sue il pubblico non vede né figurazioni né astrazioni, ma pensieri inconsueti e insiemi “antichi”, rappresi od estesi anche su porte o muri, in forme piccole o geometricamente larghe; oppure vede movimenti strani di animali inventati o di figure antropomorfe, o “creature” che sono contenitori e guizzi concettuali o le piccole enigmatiche figure appena accennate, in lotta o in volo, sempre poste attraverso o in movimento o in mutazione, che non si sa mai se sono larvali o in sviluppo. Le sue figure, l’acrobata, il centauro, l’ermafrodito, rimandano ai cacciatori volanti dell’arte parietale, ai tuffatori di Pompei, alle figure etrusche…e sono contemporaneamente una reinvenzione ludica e onirica, sempre inattesa, di una materia che all’imprvviso sembra farsi liquida e animarsi e mostrare il proprio segreto. Opere che sono pensieri, domande, interrogazioni.
Ci guidano nella comprensione dell’opera i titoli, che le situano nei diversi cicli della creazione dell’artista: “Passaggi segreti”, “Vasi comunicanti”, “Ri-flettere”.
Della sua capacità di coniugare insieme levità e imponenza, in una sorta di “basso continuo”, ha scritto acutamente Gillo Dorfles. E’ un’imponenza e una monumentalità che ci appare iscritta nella stessa levità dell’opera, nella sua natura metafisica, nei lievi segni e forme, nelle concrezioni materiche aeree e alate, in cui prendono corpo e si rendono visibili i principi cosmici, le idee, avrebbe detto Platone, i numeri, avrebbero detto i Pitagorici di tutte le cose, la loro anima segreta.
La mostra alla Torre Guevara che presenta insieme installazioni, quadri, anfore.è anche una riflessione sulle mutazione dell’arte, del fare pittura, scultura e sulla nostra sorte.
L’angelo ermafrodito del volo che si installa sulle balze del Negombo, la parte più profonda e selvaggia del parco termale, nella roccia che domina Chiaia di luna, una pozza, o vasca di raccolta dell’acqua, con grotta, che si apre tra i fitti sentieri, si libra verso il mare. Figura solo accennata, pura forma nonostante le sue dimensioni (4 metri e dieci di apertura d’ali, in bronzo), senza sguardo, è occhio chiaroveggente che si libra fuori dal tempo e dallo spazio come gli uomini volanti di Goia che hanno lo sguardo fisso verso Utopia.
Il Volo va aggiungersi all’ “Arco-in-cielo” di Arnaldo Pomodoro, e allo “Zig-Zag” di Lucio Del Pezzo, ai “Lapilli” di Laura Panno, in un surplus di senso che solo l’invenzione artistica è in grado di dare perché essa sola è in grado di trasformare l’arte del giardino in giardino dell’arte, facendone teatro della vicenda umana.
Biografia
Giuseppe Maraniello
Nasce a Napoli nel 1945, vive e lavora a Milano. Dopo gli studi
artistici e qualche anno di insegnamento presso il Liceo Artistico di
Benevento, nel 1971 si trasferisce a Milano dove è insegnante di
Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Il suo primo
orientamento si rivolge a un’arte di indirizzo fotografico, per poi
scoprirsi abile manipolatore di creta e di bronzo. Nel 1980 la
rassegna “Dieci anni dopo: i nuovi nuovi” curata da Renato Barilli
sancisce la nascita del gruppo dei Nuovi nuovi, alle cui esposizioni
partecipa in maniera stabile anche Giuseppe Maraniello. Il linguaggio
delle sue opere è il risultato di un intervento di ibridazione tra
segno pittorico ed elaborazione scultorea, intervento nel quale
l’artista concede largo spazio alla propria immaginazione di un
universo esoterico e fantasioso, abitato da soggetti arcaici e mitici
come arcieri, diavoletti, equilibristi. Nelle sculture prevalgono
sensazioni di leggerezza e una sorta di gioco acrobatico tra
equilibri precari, ricordi e visioni oniriche.
Oltre alle numerose sculture monumentali esposte permanentemente in spazi
pubblici italiani e internazionali, si ricordano le esposizioni personali
in istituzioni: Giardino di Boboli, Firenze (2009),** Torre Guevara, Ischia
(2004)**, Rocca Sforzesca, Imola (2002), Fortezza Firmafede, Sarzana (2001),
Galleria Civica, Trento e Galleria d’Arte Moderna, Bologna (1993).
Tra le collettive in istituzioni si ricordano: Giardini della Reggia di
Venaria Reale (2016-2017), Musée D’Art Moderne et Contemporain, Saint-Ètienne
e Museo MADRE, Napoli (2015), Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano (2005),
MART, Rovereto (2004), Galleria d’Arte Moderna, Bologna (1997, 1980), Museo
d’Arte Moderna, Bogotà (1992), Palazzo di Cristallo, Madrid (1990), Loggetta
Lombardesca, Ravenna (1980), Galleria Civica dʼArte Moderna, Modena (1979).
Nel 1990 partecipa con una sala personale alla XLIV Biennale dʼArte di
Venezia.